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Il genio Majorana, le scoperte, la leggendaria macchina

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Il genio Majorana, le scoperte, la leggendaria macchina



Anita Madaluni


di Anita Madaluni





Quando la scienza non ha il coraggio di avere paura.


Tradotto: magari poterci entrare e doverlo provare un po’ di quell’istruttivo coraggio di avere paura.

Il coraggio di poter affrontare quanto ancora ignoto (oppur noto e obliato) alla cono-Scienza, e solo perché quella stessa non ce la fa, non ce la fa proprio ad aprire gli occhi sul mondo, sul cosmo, sul senso della vita, sui significati del senso, sul senso di tutti i sensi.


Che postura accademica infantile! Certo…immaginiamo per un momento: il Sapere (raccontato, precotto e formattato) che va letteralmente in pezzi, scomposto, complessivamente e in modi complessi. Eureka! Una completa rivoluzione mediante distruzione in vista di una ri-creazione, nell’accoglienza coraggiosa e arguta di una tabula rasa che riedifichi ogni meandro dello scibile, in miseria e nobiltà, in grandezza e in piccolezza, tel quel il risultato di un vasto incendio la cui cenere fossile concimi il terreno della ricerca per dar vita a nuove fioriture, perché sboccino inaspettate frontiere.


Ecco: se un po’, soltanto poco-pochino di quel coraggio (di poter affrontare anche la paura) fosse contenuto nei bauli della politica, negli angusti e spesso ostili habitat istituzionali (già in passato fuggiti dai lumi della cronaca che registrava mirabilia non lasciate pervenire ufficialmente), con l’ardimento di rimischiare – anzi sostituire – le carte sulla tavola della occultata Sophia, disposti NON tanto a credere all’ impossibile ma quanto meno a volerlo cercare, desiderando di dimostrarlo, ecco…avremmo accesso decisamente a un miracolo (o a qualcosa che gli somigli), meramente registrandolo, accettandone risultati e – eventualmente – paradossi.


Suvvia: in piena rivelazione da Fisica Quantistica, lo sforzo risulterebbe quantomeno gradito.

E invece: coraggio del dubbio non pervenuto.

Paura, che controverso sentimento!

In una accezione che ameremmo rendere positiva: campanello d’allarme, schermo; e, in fin dei conti, protezione.


Con la vicenda Majorana-Pelizza (Ettore e Rolando, per gli addetti ai lavori o per gli irriducibili appassionati) rigurgita – one more time – il rifiuto della conoscenza, la distanza dal Sapere, l’allergia anafilattica all’esperienza diretta.

Ma… quando è che percepiamo come scomodo l’approccio alla Verità?

Proprio quando – giustappunto – sentiamo che può minare i nostri apparentemente stabili equilibri.


Preferiamo la pillola blu, aggrappati a una bugia conveniente, vantaggiosa, che non metta a soqquadro le stanze del pensiero, che non porti scompiglio nella psiche, che ci coccoli in una armonia artificiale, una apparenza perfetta.

Quell’inganno che ci far star bene ignorando.

Ci andiamo coi piedi di piombo perché nel vedere (che non è semplicemente guardare), forse, chissà, soffriremmo. Ma – va aggiunto – una volta provocata la ferita affineremmo ago e filo per suturarla. Avremmo, dunque, strumenti accordati di crescita, miglioramento, evoluzione.


Che non sia giunto, magari, Il tempo di interrompere trite e strategiche finzioni? Di aprire vecchie, comode, confortevoli gabbie?

Certo…non siamo sicuri del “percorso” della Verità. E il dubbio è quasi più coraggioso che lecito.

E non è esente dall’incertezza chi ha (o mostra di avere) solo coriacee convinzioni.

Quella sicumera, sovente, altri non è che lo scafandro del timore.

Chissà che non occorra, dunque, armarsi di curiosa, sana intrepidezza per duettare a tu per tu con la ricerca, vis à vis con esperimenti e valutazione di dati oggettivi.

Dubbio, quindi, come apertura interiore alimentata da macro-dosi di ardimento.


Eh già…perché è solo un po’ di quel coraggio a mancare; è un po’ di quel salubre coraggio che basterebbe ad aprire la porta di quella cantina che oramai sappiamo esistere.

Uno spazio che si è aperto – contro ogni più ragionevole titubanza – in un luogo istituzionale come il Senato della Repubblica.


E’ un primo segnale?

Ora, dopo quel claudicante faro acceso da fiammanti polemiche, una certezza ha lasciato l’impronta: nel buio del sottoscala di una storia occultata, oggi sappiamo, oggi non possiamo più far finta diche non


Ora è Quel Tempo.


Resta, ordunque, qualche sparuta condizione di chi non vuol rischiare di sapere cosa si nasconda in quella sconfinata galassia di potenziali rinascite che annichiliscano non solo la Materia ma ogni umana angustia in questa prigionia di terza dimensione.


Accettiamo, orsù, LA scoperta (tutto sommato) semplicissima, frutto solo di una pace ritrovata con lo spavaldo cavaliere in noi, figlia di una prima risposta alla domanda, da ultimo, formulata: perché non apro l’uscioOra so che, varcandolo, conoscerò.

Abbandonando l’egoico piedistallo dell’anima indolente che non ha voglia, né fantasia, né muscoli interiori per rimettere tutto (o in parte) in discussione, centrifugando sedimentate acquisizioni, vecchi copioni mentali in replica e inibiti preconcetti.


Rinunciamo, allora, a quell’infìdo senso di fallimento, di equilibrio smarrito e recuperiamo, invece, l’orgoglio di esserci riscoperti audaci e intrepidi.

Nutrire quel coraggio forgerebbe il carattere della vera Scienza, la sua personalità, migliorando psichicamente e spiritualmente l’intero genere umano.

Ne usciremmo, alla resa dei conti, più robusti, vigorosi; e migliori. Ciascuno, singolo, il nostro martoriato e ineguagliabile Paese, e il mondo intero.

L’invito a un confronto plurale e costruttivo (Alfredo Ravelli mette a disposizione testi, scambi epistolari fra Majorana e Pelizza, tomi giganteschi ricchi di contenuti) è ufficialmente/governativamente lanciato.


Si è messa a disposizione soltanto La Sala? Bah, sarà…

La Verità, dal canto suo, farà tutto il resto. E ci darà una mano.


Relatori: Alfredo Ravelli, Gianfranco Basti, Alberto Negri, Roberta Rio, Francesco Alessandrini e la moderatrice, Sabrina Pierragostini.

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